C’è sempre stata molta ideologia nei dibattiti, soprattutto quelli più recenti, sui confronti tra Stato e mercato. Con un’altalena significativa tra le due posizioni: con interi periodi storici segnati, almeno nelle società occidentali, dalla prevalenza prima dell’una, poi dell’altra posizione. Negli anni a cavallo del nuovo secolo, per esempio, i difensori del privato sembravano aver preso il sopravvento: sia per il fallimento aperto e conclamato delle esperienze storiche fondate sul “tutto il potere allo Stato”, sia per l’esigenza di avviare politiche di privatizzazioni dettate peraltro più da motivi finanziari che di coerente politica economica.
La crisi economica ha poi drasticamente cambiato le prospettive. Senza l’aiuto degli Stati, senza gli ingenti interventi finanziari messi in campo per sostenere il sistema finanziario, le già gravi ripercussioni della crisi avrebbero potuto essere catastrofiche.
E all’azione salvifica degli Stati si è aggiunto il fatto che molti analisti hanno visto le cause della crisi proprio in quella libertà di mercato che per lungo tempo era stata esaltata come il modo migliore per garantire efficienza e crescita economica.
Non stupisce che nell’attuale fase politica ed economica il liberismo non viva uno dei suoi momenti migliori assediato da una parte dalle esperienze indubitabilmente negative della recessione e dall’altra dalla volontà della politica di tornare ad estendere il proprio potere.
Appare allora saggiamente provocatoria la scelta dell’Istituto Bruno Leoni, un noto “covo” di liberisti, di pubblicare “La città volontaria”, una raccolta di saggi in cui si riportano d’attualità esperienze anche lontane nel tempo, come nella Gran Bretagna di inizio Ottocento, ma accomunate dall’essere esempio in cui l’iniziativa privata ha dato buona prova anche nei campi che tradizionalmente vengono considerati come riservati allo Stato. E’ il caso della pianificazione urbanistica, dell’assistenza sociale, della sicurezza, della stessa amministrazione della giustizia.
E non si tratta di semplici eresie. Gli studiosi della storia del diritto, si può ricordare Sabino Cassese, hanno analizzato lo sviluppo spontaneo della lex mercatoria, il sistema di diritto commerciale che per secoli ha regolato i rapporti mercantili sulla base dell’arbitrato, fino ad arrivare al ruolo che imprese private svolgono nella gestione operativa di strumenti moderni come i domini Internet.
Si tratta in fondo di riscoprire altre possibilità oltre a quelle a cui l’epoca attuale ci ha abituati, e “potremmo scoprire con nostra grande sorpresa – scrive Vito Tanzi nell’introduzione – che vi sono altri modi di organizzare la società, modi che non sono meno auspicabili della pervasiva presenza dello Stato”. Ma per far questo è necessario superare gli schemi ideologici, affrontare il rischio di non essere politicamente corretti, valutare le scelte da compiere in base all’efficacia e alla funzionalità. Per scoprire che “la città volontaria” più che un’utopia è semplicemente una sfida: quella di uno Stato in cui i cittadini siano protagonisti e non perennemente sudditi.
“La città volontaria”, a cuira di David T. Beito, Ed. Ibl, Pag. 410, € 16
pubblicato il 18 marzo sul Sole 24 Ore