Ci sono tanti aspetti, oltre a quelli dell’integrazione e della sicurezza, che sottolineano la forte incidenza dei movimenti migratori nella dinamica economica e sociale. C’è la risposta alle offerte di un mercato del lavoro che non troverebbero altre possibilità di soluzione, c’è il contributo che gli immigrati danno attraverso il prelievo fiscale e contributivo, c’è l’apporto finanziario ai paesi di origine attraverso le rimesse, cioè i risparmi che vengono inviati alle famiglie.
Nel 2008 il totale delle rimesse inviate verso i paesi in via di sviluppo è stato stimato pari a oltre 300 miliardi di dollari, il 15% in più rispetto all’anno precedente e il doppio rispetto a soli quattro anni prima. Un contributo che è più di tre volte il volume degli aiuti ufficiali allo sviluppo e degli afflussi netti di capitali di debito privati. I dati ufficiali parlano di 6,4 miliardi di euro inviati, sempre nel 2008, dagli immigrati in Italia alle famiglie di origine, ma vi sono motivi per ritenere che la cifra reale possa essere anche sensibilmente superiore.
Al di là delle cifre, comunque importanti, resta tuttavia il fatto che la dimensione economica dell’emigrazione può diventare un positivo fattore di sviluppo. Lo dimostra la stessa storia italiana in cui vi sono state due grandi movimenti migratori: il primo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento verso le Americhe e l’Australia, il secondo negli anni 50 e 60 del secolo scorso verso i paesi europei: le miniere del Belgio, le fabbriche della Germania, i cantieri della Svizzera. Ebbene proprio per l’Italia, i due periodi di più significativa crescita tanto che si è arrivati nel secondo caso a parlare di miracolo economico, sono stati quelli tra il 1895 e il 1913 e tra 1950 e il 1970, periodi in cui le rimesse degli emigrati hanno rappresentato un fattore di rilevo, favorendo il riequilibrio della bilancia dei pagamenti e allentando i vincoli esterni.
E’ solo dalla fine degli anni 80, e quindi solo poco più di vent’anni fa, che il numero di nuovi arrivi di immigrati in Italia ha superato quelli degli emigrati, che continuano ad esserci pur se in maniera profondamente diversa rispetto al passato. Ma peraltro è solo all’inizio degli anni Duemila che gli stranieri residenti in Italia hanno superato il numero degli italiani (più di quattro milioni) residenti all’estero.
L’emigrazione italiana non è più un movimento collettivo: è diventata sempre di più la somma di tante scelte individuali, di tanti percorsi diversi di studio e di carriera. Lo dimostra la “fuga dei cervelli” così come lo dimostrano i casi raccolti da Federico Taddia, autore radiofonico, (non perdetelo su Radio 24) e Claudia Ceroni. “Chi ha una passione, un’intuizione, un sogno nel cassetto, un progetto, troppe volte deve andare via, lontano dalla madrepatria, che delude e disillude. Che non capisce. Che è sempre distratta nel comprendere dove siano il merito e il valore.” Nascono così le storie di architetti e organisti, avvocati e agricoltori, artisti e musicanti che cercano e trovano il successo. Ma, non dimentichiamolo, diventano anche ambasciatori del “made in Italy” fatto di creatività, genialità e qualità.
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Federico Taddia e Claudia Ceroni, “Fuori luogo”, Ed. Feltrinelli, pagg. 156, € 13
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Pubblicato sul Sole 24 Ore del 12 agosto