Per la questione morale questo periodo è sicuramente uno dei più intriganti e in qualche modo avvincenti. Sotto il profilo globale per la crisi che negli ultimi anni ha colpito prima la finanza e poi l’economia reale. Per gli aspetti più vicini al mondo politico italiano per la continua scoperta di episodi di corruzione, accordi di favore, consorterie segrete che sembrano fare da contorno ad una politica che si dimostra in questi casi incapace di distinguere il bene comune dagli interessi privati.
Al fondo di tutto, sia delle formule magiche dei grandi manager delle banche d’affari, sia dei piccoli intrallazzi per pilotare gli aiuti pubblici o gli appalti privati, c’è tuttavia la violazione di uno dei principi morali più antichi, quel “non rubare” scritto nelle tavole della legge che costituisce uno dei principi fondamentali, quasi un postulato, dell’evoluzione sociale anche perché pone le basi dello stesso diritto di proprietà.
E’ proprio su questo punto peraltro che si presenta il maggiore distacco tra due dimensioni che, come ha giustamente sottolineato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non vanno confuse: il reato e il peccato. Nella società moderna, in cui il principio di libertà è ormai radicato almeno a livello teorico, reato può essere solo un comportamento di carattere sociale, un’azione che limita la libertà altrui. Mentre il peccato è la violazione di norme morali che possono essere, anzi nella maggior parte dei casi sono, di carattere personale, e fanno riferimento alla coscienza e a leggi di carattere trascendentale e spirituale.
Ma quando si scende nel concreto i punti di contatto possono essere significativi. Per il settimo comandamento la legge civile praticamente si allinea con quella morale. Con un problema tuttavia. Lo vediamo all’interno della nuova collana che “Il Mulino” sta dedicando ai dieci comandamenti, e dove il commento a “ Non rubare” è firmato da Paolo Prodi e Guido Rossi. E proprio quest’ultimo infatti sottolinea con forza come il furto sia diventato quasi intrinseco all’evoluzione della dimensione finanziaria: “La ricchezza e i profitti creati sul debito hanno dato l’illusione che i debiti si possano non pagare, sulla base di un’assurda ideologia promossa da sofisticate tecniche di ingegneria finanziaria: questa rivoluzione ha cambiato il concetto e le dimensioni del furto”.
Anche perché è cambiata la stessa nozione di proprietà. Dapprima l’evoluzione economica ha creato la “public company”, una impresa in cui non c’è un proprietario visibile e concreto, e poi la rivoluzione finanziaria ha separato la ricchezza dai beni materiali destrutturandola in infiniti rivoli, peraltro sempre più opachi.
Se è quindi necessario non confondere i piani tra politica, economia ed etica, appare altrettanto utile ricordare come l’esperienza storica insegni quali danni abbia creato la tentazione di creare i soldi con i soldi. Senza dimenticare che la ricchezza creata dal nulla nn può che essere un’illusione… o un furto.
…..
Guido Rossi e Paolo Prodi, “Non rubare”, Ed. Il Mulino, pagg. 170, € 12
…….
Pubblicato il 29 luglio sul Sole 24 Ore