L’Argentina e la cultura economica di Milei

L’Argentina e la cultura economica di Milei. Quando negli anni ’90 sono sbarcato per la prima volta all’aeroporto di Buenos Aires aspettando i bagagli un argentino ha iniziato a spiegarmi in perfetto italiano (suo nonno era emigrato agli inizi del 900) le meraviglie del paese. “Vede – mi disse – quando il buon Dio ha creato il mondo si è accorto quasi alla fine che in Argentina aveva messo le cose più belle: i mari ricchi di pesce, le montagne incantate, le grandi pianure fertili. E riflettendo pensò: tutto troppo bello. E allora ha creato gli argentini.”
In effetti l’Argentina ha tutte le caratteristiche per essere un Paese ricco. E lo è stato almeno fino alla metà del secolo scorso quando aveva un Pil pro capite superiore a quello degli Stati Uniti, un Paese che attirava (e accoglieva) migliaia di migranti come il nonno del mio occasionale accompagnatore. Così come il nonno di Papa Francesco e quello dell’attaccante della nazionale italiana, Mateo Retegui. Poi nella seconda metà del secolo scorso è iniziata la deriva economica e sociale. Prima con i sogni della terza via di Juan Domingo Peron (e di sua moglie Evita), poi con le dittature militari che si sono alternate ai governi populisti che hanno cercato il consenso con una spesa pubblica senza freni, una cattiva gestione dell’amministrazione, una corruzione incontrollata. E come conseguenza un’inflazione galoppante e il fallimento delle finanze statali con, per ben cinque volte, la ristrutturazione del debito. Ne sanno qualcosa migliaia di risparmiatori anche italiani che, a cavallo del millennio, attirati dagli alti tassi di interesse avevano investito nei “Tango bond”.
L’Argentina è stata negli ultimi decenni, fino al trauma del Covid, un esempio di cattiva politica e insieme di cattiva economia. Le ricette falso-keynesiane di aumento della spesa pubblica in gran parte improduttiva, finanziata facendo girare le rotative della banca centrale, hanno portato il Paese ad un’iperfinflazione che ha raggiunto il 150%. Accentuando le disuguaglianze e facendo crescere il disagio popolare.
In questo scenario nel 2021 è comparso Javier Milei, professore di materie economiche, che aveva iniziato come influencer ed opinionista televisivo. Ha fondato un partito La Libertad Avanza, con cui ottiene un seggio in parlamento per poi presentarsi e vincere a sorpresa le elezioni presidenziali del 2023. Una novità. Non il solito populista che promette soldi a tutti, ma un vero e proprio provocatore che lega la sua immagine alla sega elettrica con cui vuole tagliare i rami dell’inefficienza, della corruzione, dello Stato invadente e nello stesso tempo incapace. Un volto nuovo, con idee nuove. Senza paura di affermare che le medicine da prendere avrebbero dovuto pagarle tutti con l’obiettivo di costruire, sulla base di un liberismo ben temperato, una società con meno burocrazia, meno regole, maggiore difesa della proprietà privata, condizioni migliori per gli investimenti dall’interno così come dall’estero.
Milei, peraltro condizionato dalla necessità di ricercare compromessi in Parlamento, ha comunque ottenuto promettenti risultati in questi primi due anni. L’inflazione si è drasticamente ridotta e l’economia ha ripreso a camminare. Il cambiamento è innegabile, ma è ancora difficile giudicare i risultati e soprattutto gli effetti a medio termine.
Per non fermarsi agli slogan superficiali è utile conoscere più da vicino l’uomo Milei. Ecco allora la sua biografia (Javier Milei, “Il cammino del libertario”, ed Rubbettino, Ed. Rubbettino, pagg. 292, € 22), una biografia in cui emerge, insieme alla sua forza di volontà, la sua solida base di conoscenza e competenza economica. Un esempio: “Ho cominciato – scrive Milei – a leggere Ludwig von Mises. Fu un cammino di sola andata. Ricordo che ho letto dall’inizio alla fine L’azione umana, un libro che avrà all’incirca mille trecento pagine. Mi piacque talmente che l’ho ricomprato e la seconda copia la tengo intatta. Nuova. Ancora nel suo cellofan addirittura, affinchè non si rovini. E nello stesso tempo ne ho acquistato una versione usata da portare in ufficio per lavorarmela appieno”.
Non so quanti ministri italiani possono dire di avere studiato a fondo i classici dell’economia, non solo quelli liberisti, ma magari quelli marxisti e statalisti. E non so quanti siano convinti che tagliare il prato della spesa pubblica possa aiutare a far crescere meglio nella stagione successiva.
Milei sta tentando una strada del tutto nuova rispetto al passato. E le elezioni di metà mandato, in ottobre, hanno visto crescere il consenso popolare con partito “La Libertad Avanza”, che ha ottenuto una chiara vittoria con il 40,84% delle preferenze scavalcando, anche nella capitale, la coalizione peronista “Fuerza Patria” che ha ottenuto il 24,5% dei voti. Un risultato un po’ a sorpresa dati i costi che gli argentini hanno dovuto pagare per i primi drastici interventi di Milei.
Ma l’Argentina è un Paese di giovani con un’età media di poco superiore ai 30 anni (rispetto ai 47 anni dell’Italia). E i giovani sono giustamente stanchi delle politiche che cercano consensi caricando i pesi sulle generazioni future. Anche questo può insegnare l’Argentina e la cultura economica di Milei