L’oratorio, la fabbrica del bene

L’oratorio, la fabbrica del bene. Se è vero che il Terzo settore è una delle dimensioni più importanti per la crescita sociale è altrettanto vero che le realtà del non profit, del volontariato, dell’impegno di solidarietà assumono le forme più vaste, con presenze che spesso sono date talmente per scontate che sfuggono dall’attenzione.
E’ il caso degli oratori, di quelle realtà, il più delle volte collegate alle parrocchie, che offrono ai giovani uno spazio educativo, un luogo dove impegnare il tempo libero in attività sportive, in gruppi di studio, in partecipazione alle attività pastorali.
Se ne è parlato nei giorni scorsi in un convegno al Senato dove è stata presentata una proposta di legge di “Noi moderati” per “riconoscere a livello nazionale la funzione educativa e formativa degli oratori”.


Grandi calciatori, come Rivera, Mazzola, Vialli, hanno iniziato a giocare sui campi, spesso polverosi, degli oratori; grandi stilisti, come Domenico Dolce e Stefano Gabbana, confessano tranquillamente che quanto imparato nelle parrocchie è stato molto importante per affrontare la loro professione; manager come Pier Luigi Celli hanno trovato negli anni giovanili proprio nel tempo degli oratori una scuola di vita.
Tutte testimonianze, insieme a tante altre, raccolte nel libro di Alessia Ardesi “Oratorio Italia, viaggio nel paese del bene” (Ed. Rubbettino, pag. 170, € 15), un libro che è insieme una storia, un’inchiesta, una visione prospettica, un invito alla riflessione. L’autrice, giornalista, ha una lunga esperienza non solo come commentatrice televisiva, ma anche a livello politico (è stata nello staff di comunicazione e assistente di Silvio Berlusconi). Ora vive a Washington e grazie ai suoi contatti e ai suoi viaggi in Italia, ha voluto portare alla ribalta una realtà altrettanto importante, quanto sottovalutata.
“Questo libro – spiega Aldo Cazzullo nella postfazione – è un risarcimento. E’ uno svelamento di un’Italia pudica che non si esibisce, non parla, non grida. L’Italia dell’immensa provincia, dei mille campanili, della rete delle parrocchie. Un’Italia abituata a credere, a lavorare, a pregare, a prendersi cura degli altri, non solo dei propri figli e dei propri nonni, ma di tutti i bambini, di tutti gli anziani, di ogni persona della comunità.”
Gli oratori, definiti “la fabbrica del bene”, nascono nell’Ottocento, dall’impegno sociale di don Cottolengo verso i malati e gli emarginati, e di don Bosco verso i giovani “per raccogliere -spiega Ardesi – quelli più lontani e in difficoltà, in luogo in cui possano formarsi all’insegna della Parola di Dio, grazie all’amorevolezza, all’esempio e alla vocazione missionaria di sacerdoti, catechisti ed educatori, offrendo un insieme di catechismo, gioco ed educazione”.
Un luogo aperto a tutti per abituare i giovani alle relazioni, al rispetto delle persone, alla partecipazione, all’accoglienza, alla solidarietà. Tutti elementi di cui si sente una grande necessità nell’attuale dimensione giovanile in cui smartphone e social network creano una nuova dipendenza e, malinconicamente, una nuova solitudine.