Può l’impresa essere generativa? Il novantanove per cento dei libri di management, e ce ne sono milioni, si muove lungo un percorso che parte dalla razionalità, percorre la strada dell’efficienza, considera le persone come strumenti di potere, arriva a delineare strategie d’impresa che hanno soprattutto l’obiettivo del profitto e della conquista di quote di mercato.
E anche se, soprattutto negli ultimi anni, sono affiorati concetti come quelli della sostenibilità, della responsabilità sociale, della partecipazione, è rimasta la tentazione di ridurre l’etica ad etichetta, di fare delle compatibilità ambientali altrettanti strumenti, magari occulti, di marketing e promozione dei brand. Tutte strategie nobili e giuste, indubbiamente, ma che sono peraltro alla base della crisi degli attuali modelli di crescita sociale, una crisi che si manifesta, per esempio, con la sempre più evidente fuga dal lavoro tradizionale (la Great resignation): secondo gli ultimi dati del Ministero del lavoro, nei primi nove mesi del 2022, il numero delle dimissioni volontarie da contratto a tempo indeterminato ha coinvolto più di un milione e seicentomila persone.
C’è tuttavia una parola che può diventare metodo d’azione e che può dare una nuova prospettiva di congiunzione tra la crescita economica e quella sociale: questa parola è generatività. Qualcosa di più di uno slogan o di una moda, una prospettiva in grado di coinvolgere le pratiche manageriali insieme all’impegno dei protagonisti sociali come la politica, i sindacati, il Terzo settore.
L’impresa può essere generativa. La generatività diventa una proposta forte e coinvolgente nelle dense pagine del libro di Rosario Faraci, docente di principi di management e business model innovation all’Università degli studi di Catania. Un libro (“Nient’altro che il futuro, la prospettiva generativa nel fare impresa”, Edizioni sindacali, pagg. 108, € 15) che intende aprire una profonda riflessione sulla possibilità – scrive l’autore – di delineare “la cosiddetta logica multi-stakholder che, superando la visione del gioco a somma zero dove alcuni vincono e altri perdono, è capace invece di affermare un approccio win-win, di gioco a somma positiva, in cui tutti gli attori sono ugualmente soddisfatti in termini di aspettative, desideri, bisogni”.
Ecco quindi che si parla di New-World Management per un’economia ispirata al bene comune, riconoscendo la funzione sociale dell’impresa in un’ottica di inclusione, di coesione e di equità. Nello stesso tempo si tratta di superare la vecchia logica di contrapposizione tra Stato e mercato, tra collettivismo e liberalismo. L’emergenza ambientale e quella energetica, così come le crescenti disuguaglianze, chiedono un cambio di passo rispetto al passato, una sempre più stretta integrazione tra scuola e lavoro, tra formazione e professionalità, tra politiche territoriali e competenze imprenditoriali. Valorizzando quello che viene chiamato “ecosistema”, una realtà in cui le competenze si associano con i valori, in cui la politica aiuta il mercato a crescere e in cui le imprese si muovono con creatività e partecipazione.