Scuola-lavoro: le buone pratiche ci sono. C’è un rischio, sempre più diffuso, nel guardare e giudicare il mondo della scuola e il sistema educativo nel suo complesso. Il rischio di una valutazione sostanzialmente negativa guardando o troppo vicino o troppo lontano. In pratica o enfatizzando alcuni singoli casi, come quello della famiglia finlandese che ha tolto i figli da una scuola di Siracusa, o facendo di ogni erba un fascio, criticando l’intero modello educativo senza se e senza ma.
Una visione realistica dei problemi non può che stare nel mezzo. Non perché le singole critiche non siano senza fondamento, ma perché una critica che voglia essere costruttiva non può non tener conto che vi sono modelli positivi. Vi sono esperienze che hanno dato risultato incoraggianti, scelte formative che hanno costruito dei solidi ponti tra scuola e lavoro.
Con un punto di partenza: far sì che rimettere al centro gli studenti, non sia solo uno slogan, ma una dinamica di attenzione che presuppone percorsi personalizzati. Senza mettere in secondo l’esigenza che la didattica sappia adeguarsi alle capacità cognitive delle persone e nello stesso tempo sviluppare l’interesse verso le potenzialità del mondo esterno.
Va in questa direzione il libro curato da Michele Puglisi e Luciano Traquandi “Scuola, università, impresa, ripensare le opportunità educative” (Ed. GueriniNext, pagg. 220, € 20). Un libro in cui si raccontano le esperienze che hanno visto protagoniste alcune scuole superiori in stretto collegamento con l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza (Liuc). Un esempio: il progetto “Non solo tesine” che in cinque anni ha coinvolto oltre ottomila studenti con un programma di progressivo avvicinamento alla ricerca documentale e all’uso integrato delle fonti.
Ma si potrebbe e dovrebbe parlare anche dei progetti di sperimentazione informatica, di valorizzazione dei percorsi formativi, dello scambio continuo di esperienze tra imprese e università. Così come delle nuove formule didattiche come il “Debate”, la discussione aperta, ma secondo regole ben precise, per condividere e implementare la visione della realtà. Tutte buone pratiche nel rapporto scuola-lavoro.
Come scrive il rettore della Liuc, Federico Visconti, nella postfazione: “Il libro veicola una sana tensione al cambiamento dei modelli educativi e lancia precisi messaggio di riorientare il paradigma, rimuovendo i vincoli (per esempio la “persistente malattia giuridica dell’Università”) e valorizzando le opportunità emergenti”.
Con un dato di fondo: in una società complessa e in profonda trasformazione come l’attuale i nuovi modelli di apprendimento e di formazione sono altrettanti possibili quanto indispensabili. Così come indispensabile è un sano e costruttivo rapporto tra scuola e imprese in un’ottica di integrazione e di visione comune della crescita sociale.
Le buone pratiche quindi ci sono. E sono ancora più importanti se non restano esempi isolati, ma diventano stimoli per l’intera società.