Mai come questa volta, nell’era di Internet e delle comunicazioni globali, una guerra, questa guerra per la conquista delle ricchezze del Donbas, ha avuto uno spettro così ampio non solo di giudizi e di interpretazioni, ma anche di quella che dovrebbe essere un’apparentemente semplice valutazione dei fatti. E mai come questa volta i piani della politica, interna e internazionale, si sono intrecciati tra di loro di fronte ad una svolta drammatica come l’aggressione ad uno stato sovrano, che nessuno, fino a poche ore prima, riteneva possibile.
Eppure in questo XXI secolo si stanno riproducendo le logiche che hanno portato a due guerre mondiali prima e ad una serie di conflitti locali poi per ragioni strettamente di potere e di dominio. Con una situazione oggi ancora più grave. Perché agli spiriti di conquista si sovrappongono rilevanti interessi economici in una fase geo-politica di grande trasformazione.
Si è parlato molto della dipendenza dell’Europa dal gas e dal petrolio russo così come del fatto che la Russia è un grande paese, con enormi potenzialità di risorse naturali. Ma è un paese che non è riuscito (o non ha voluto) percorrere le strade dell’innovazione industriale come hanno fatto non solo gli Stati Uniti, ma anche l’Europa e soprattutto la Cina.
Si è parlato meno delle condizioni economiche che fanno dell’aggressione russa un evento molto simile alle guerre coloniali alla conquista di schiavi e di ricchezze naturali. A fare chiarezza sulla realtà della guerra scatenata da Vladimir Putin è l’instant book di Giuseppe Sabella: “La guerra delle materie prime e lo scudo ucraino” (Ed. Rubbettino, e.book, pagg. 30, € 1,99). Sabella, economista, direttore di Oikonova, think tank specializzato in economia e lavoro, spiega con chiarezza e precisione perché il paese più grande del mondo, la Russia, abbia bisogno di strappare all’Ucraina le terre del Donbas, della costa del mare d’Azov e della Crimea. “Non è un caso – spiega Sabella – che i territori già occupati siano strategici in questo senso: l’Ucraina orientale è la seconda più grande riserva d’Europa di gas naturale; in Luhansk e Donetsk vi sono enormi giacimenti di shale gas; in Crimea, già annessa dal 2014, vi sono rari giacimenti energetici offshore”.
Ma non basta. Perché, afferma Sabella, “l’obiettivo vero di Putin è quello che i geologi chiamano “scudo ucraino”: si tratta di quella Terra di mezzo compresa tra i fiumi Nistro e Bug che si estende fino alle rive del Mar d’Azov, nel sud del Donbas. L’area totale della sua superficie è di circa 250 mila chilometri quadrati. In termini di potenziale di risorse minerarie generali, lo scudo ucraino non ha praticamente parità in Europa e nel mondo. All’interno di questa zona geologica si trovano grandi riserve di minerale di ferro, di uranio e di zirconio, oltre che pietre preziose e semipreziose, materiali da costruzione (tipo granito estratto di alta qualità)”.
Nello “scudo ucraino” si estraggono anche uranio, titanio, minerali di ferro e manganese. Tutte materie prime fondamentali per le leghe leggere (titanio) e anche per acciaio e acciaio inossidabile (minerali di ferro e manganese).
E poi ci sono proprio le Terre rare, quelle del gruppo dei “supermagneti”, come il neodimio, il lantanio, il praseodimio, importantissimi per la produzione dei nuovi motori dell’auto elettrica, così come per gli smartphone e i televisori. Ma anche per tutta la filiera eolica, per la fibra ottica e per quella della diagnostica medica: tutto quanto fa innovazione tecnologica e digitale, indispensabile per la sostenibilità dello sviluppo.
Quella dell’Ucraina, quindi, è una guerra di conquista in cui si sovrappongono logiche geopolitiche per il ruolo della Cina, un ruolo estremamente problematico sia per la forza economica del paese, sia per la tradizionale amicizia ideologica tra i due regimi. Putin ha bisogno di un rapporto privilegiato e anche per questo vuole offrire a Pechino le materie prime e le “terre rare” indispensabili al suo sviluppo.
Di fronte a queste sfide l’Italia e l’Europa non possono stare a guardare.