Grazie Svizzera: per il Gottardo e per Einaudi

Il primo giugno la Svizzera inaugura il nuovo traforo ferroviario del Gottardo, il più lungo del mondo. Più di cinquanta km che saranno percorsi (regolarmente da dicembre) in un quarto d’ora dai treni passeggeri e in un mezz’ora dagli ancor più numerosi, e lunghi, treni merci.
La Svizzera sarà sulle prime pagine dei giornali per un’opera interamente pagata dalla Confederazione che tra l’altro sta anche finanziando i lavori per l’adeguamento delle linee ferroviarie in territorio italiano per consentire il transito dei vagoni alti fino a 4 metri.
Al di là delle polemiche suscitate da un battuta del presidente del Consiglio, che nei giorni scorsi è sembrato affrettatamente voler attribuire all’Italia la realizzazione del traforo, resta il fatto che grazie alla Svizzera il Centro e Nord Europa saranno più vicini all’Italia a tutto vantaggio dei viaggi e degli scambi commerciali.

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Grazie Svizzera, dovremmo dire. E non è la prima volta. In questa occasione vorrei infatti ricordare l’esperienza di Luigi Einaudi.
Dagli ultimi decenni dell’Ottocento ai primi anni della Repubblica italiana, Luigi Einaudi (1874-1961) è stata una delle personalità che maggiormente hanno segnato la vita politica italiana anche se molto spesso i suoi richiami e le sue analisi si cadute nel vuoto tanto da aver scelto di dare come titolo ai suoi ultimi articoli “Prediche inutili”. Professore, giornalista, politico, governatore della Banca d’Italia e primo presidente eletto della Repubblica, Einaudi è stato un grande rappresentante di un liberalismo costruttivo, profondamente ancorato alla realtà sociale.
La vita e il pensiero politico-economico di Einaudi meriterebbero (e hanno meritato) interi volumi. Importanti le sue opere sul diritto tributario, le sue analisi di teoria monetaria così come il suo impegno politico a cui si deve, insieme e De Gasperi, il miracolo economico del secondo Dopoguerra. Poco più di un anno della sua vita lo visse anche da esiliato in Svizzera da cui tornò il mattino del 10 dicembre 1944, con gran parte dell’Italia del Nord ancora occupata dai tedeschi, a bordo di un aereo americano da Lione a Roma. Einaudi era stato richiamato in Italia per assumere la carica di Governatore della Banca centrale e per guidare la ricostruzione del Paese dopo le distruzioni della guerra.
Einaudi era fuggito avventurosamente alla fine di settembre del 1943. Arrivato a Torino dove era stato da poco nominato rettore dell’Università, e dove doveva tenere la tradizionale lezione di scienza delle finanze, venne infatti avvisato che correva il concreto rischio di essere arrestato e decise quindi insieme alla moglie Ida e con l’aiuto di alcuni amici, di tentare di raggiungere subito la Svizzera. I valichi e le principali strade erano rigidamente controllate: la strada scelta fu un duro percorso a piedi e a dorso di mulo passando per la borgata di By e poi attraverso la Fenetre Durant, un colle a 2800 metri di altezza al culmine nella valle di Ollomont di fianco al Gran San Bernardo. Pesante la salita e ancora più pesante, per un uomo di quasi settant’anni che camminava con il bastone, la discesa fino a Martigny.
Dopo i primi giorni di inevitabili traversie per essere accolto e per trovare una sistemazione adeguata Einaudi potè contare sull’aiuto non solo di moltissimi amici italiani che l’avevano preceduto in terra d’esilio, ma anche della solidarietà aperta e costruttiva delle autorità e degli ambienti accademici e culturali elvetici. In un messaggio alla Svizzera inviato nel 1953 Luigi Einaudi scriverà: “L’ospitalità che gli Svizzeri diedero ai profughi italiani fu larga, cordiale, silenziosa. Dagli uomini politici e dai funzionari federali e cantonali ai colleghi universitari, dai capitani dell’industria e della banca ai lavoratori del braccio e della mente, tutti vennero in aiuto a coloro che avevano bisogno di essere aiutati, senza che della liberalità si facesse ostentazione e si richiedessero pubblici riconoscimenti e ringraziamenti”.
Tra i rifugiati italiani in Svizzera, soprattutto dopo l’8 settembre del ’43, vi erano molti militari, quasi tutti giovani. Fu per questo che il ticinese Plinio Bolla, allora presidente del Tribunale federale e del Comitato d’aiuto degli universitari, organizzò una serie di “campi” a Ginevra, Losanna, Friburgo e Neuchatel, a cui parteciparono in un anno oltre 500 allievi e che videro la partecipazione anche di molti docenti italiani, tra cui uno dei più autorevoli fu proprio Luigi Einaudi.
In quelle lezioni il futuro presidente della Repubblica italiana fu quasi costretto a spiegare l’economia e la società fin dall’inizio, soprattutto partendo dalle basi pratiche e teoriche del liberalismo e allo stesso modo realizzò un manuale di base di educazione civica realizzato su invito del “Comitato italiano di cultura sociale” che gestiva le lezioni nei campi svizzeri dove erano raccolti oltre ventimila rifugiati italiani. Queste pagine “volutamente semplici e in parte popolari”, come scrisse Einaudi nella prefazione della prima edizione, costituirono la base di quelle “Lezioni di politica sociale” che rappresentano a tutt’oggi una sintesi chiara ed efficace, un’opera in cui risalta la consapevolezza che le vicende storiche del ventennio tra le due guerre avevano al fondo la lacerazione del tessuto sociale una delle cause più importanti.
Einaudi mette a fuoco i particolari di una solidarietà liberale che non solo non è incompatibile con le leggi dell’economia di mercato, ma che è funzionale proprio allo sviluppo di un autentico regime liberale. In una società più equa anche il mercato funziona meglio e può offrire strumenti per rendere più costruttiva l’iniziativa economica e la partecipazione dei cittadini. La solidarietà, secondo Einaudi, è un fattore profondamente coerente con il liberismo: non solo perchè esalta la libertà dei singoli, ma anche perché aiuta ad allargare il mercato, a renderlo più aperto e partecipato e quindi efficiente. I liberali, dunque, sono anch’essi a favore un certo grado di intervento dello Stato, tanto che per identificarli «bisognerebbe inventare un altro nome» rispetto a quello di liberisti, «tanto il loro atteggiamento mentale è lontano dal laisser faire, laisser passer».
Le “Lezioni di politica sociale” costituiscono ancora oggi un punto fermo per le idee liberali. Soprattutto un punto di sano equilibrio tra le tentazioni da una parte di una crescita delle presenza dello Stato e dall’altra di una fiducia assoluta in un mercato che invece ha bisogno di buone regole e di corretti regolatori.
Grazie Einaudi, grazie Svizzera.

  • Leonardo |

    … “Lezioni di politica sociale” scrisse Einaudi. Da comune cittadino quale sono, sto riflettendo da un decennio a questa parte che se questo tipo di politica lo si incominciasse ad insegnare ai nostri figli giá dalle elementari, nel giro di un ventennio il popolo Italiano potrebbe essere maturo di recarsi alle urne. Ma a tutt’oggi la gran parte degli italiani é analfabeta dal punto di vista politico. Comunque …Grazie Einaudi

  • habsb |

    Egr. dr. Fabi
    sarebbe un errore ritenere che il pensiero liberista rifiuta ogni intervento statale : la stessa celebre frase che lei cita, “laisser faire et laisser passer” fu coniata da d’Argenson et Quesnay, fidi ministri del re assoluto Luigi XV.
    Il suo senso, per chi non lo intendesse, era che l’attività economica non aveva bisogno di quegli aiuti di stato che la generazione precedente forniva, con il mercantilismo di Colbert.
    “Laissez faire, et laisser passer” si oppone quindi unicamente al mercantilismo, che oggi tutti rigettiamo o almeno spero.
    Se la Svizzera fosse mercantilista, e non liberista, non avrebbe speso 10 miliardi per costruire un tunnel che faciliterà il libero scambio in tutta Europa.
    Fermo restando che questo tunnel è stato fatto solo dopo che il 64% dei cittadini elvetici lo hanno approvato con regolare referendum : e dunque quale migliore espressione del “laisser faire et laisser passer” puo’ esistere che questa accondiscendenza governativa verso il desiderio popolare di aprirsi e commerciare con gli altri popoli ?

  • Storto Giovanni |

    Un articolo che debbo ammettere mette fine ad anni di pregiudizi storici reciproci e dovrebbe motivare di più le regioni italiane del nord ad una migliore integrazione e collaborazione con gli elvetici – troppo distanti sono i gap culturali etici e storici con le regioni del centro sud Italia ma proprio per questo le scuole del meridione dovrebbero preparare le nuove generazioni ad un salto di qualità avvicinandosi sempre di più alle culture del centro Europa.

  • giuseppe sangregorio |

    Articolo interessante che, secondo me, potrebbe dare il via a un’interessante discussione su un tema oggi importante: perché in Italia si fa il massimo sforzo per ricevere tutti i migranti(gente culturalmente poco qualificata) e e non si bada affatto alla sicurezza dei cittadini italiani e soprattuto si trascura di programmare ill futuro del Nostro Paese, che sarà votato al declino irreversibile se si continua a costringere i giovani laureati e diplomati a fuggire all’estero per un posto di lavoro e se non si ha l’intelligenza politica di capire che ciò è un gravissimo errore che farà arretrare il nostro Paese nel contesto di quelli più sviluppati.

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