Il tema degli esodati e della possibile ulteriore riforma delle pensioni è stata oggetto di una lettera, e di una mia risposta, sul Sole 24 Ore di martedì 2 settembre. E’ stata l’occasione per mettere ancora una volta in luce come il sistema previdenziale che si è costruito negli ultimi decenni sia stato, e quindi sia ancora, caratterizzato da una serie di trattamenti che hanno creato una giungla di condizioni diverse, alcune di vero e proprio privilegio. E’ evidente che in queste condizioni una riforma del sistema è altrettanto importante quanto complessa. Agire infatti con modifiche e magari tagli che riguardino tutti vorrebbe dire aggiungere ingiustizia ad ingiustizia. Si tratta quindi di rispettare la dignità di ogni singola persona, mantenendo le promesse per quelli che vengono chiamati “diritti acquisiti”, ma nello stesso tempo si tratta di arrivare a un sistema che sappia garantire, anzi garantirsi, la sostenibilità finanziaria. Il sistema di calcolo delle pensioni basato sui contributi effettivamente pagati è stato sicuramente un passo avanti.
Ma il finanziamento resta a ripartizione, cioè i lavoratori attuali pagano con i loro contributi le pensioni attuali. Solo la previdenza complementare mette a frutto i contributi dei singoli lavoratori per pagare le pensioni a questi stessi lavoratori. Ma la previdenza complementare è ancora una piccola parte del sistema previdenziale. Gli obiettivi di una riforma dovrebbe essere un rilancio della previdenza complementare anche attraverso una riduzione dei contributi, ora molto alti, sulla previdenza obbligatoria. Interventi che possono dare frutti a lungo termine, ma anche il lungo termine non arriva mai se non si inizia un cammino….
Ecco comunque la lettera di Claudio Ardizio, portavoce degli esodati, pubblicata con la mia risposta martedì sul Sole 24 Ore.
Il tema degli esodati è tornato d’attualità nell’ambito delle polemiche su eventuali nuovi tagli alle pensioni più elevate, annunciate e poi ritirate dal Ministro Poletti.
In effetti, nonostante gli interventi di salvaguardia che hanno fatto seguito al repentino cambiamento delle regole della riforma Fornero, di lavoratori che si sono visti sfuggire la pensione ce ne sono ancora e tanti.
In un documento dell’Inps presentato in maggio al tavolo Ministero Lavoro – capigruppo commissione lavoro si rileva infatti che ci sono entro il 2018 oltre 170mila persone esodate che comprendono 11mila in mobilità, 10mila contributori volontari, 14mila senza lavoro per accordi individuali o collettivi e comunque licenziati, 6.900 con contratti a termine, 30mila con 15 anni di contributi, 45mila con contributi volontari ante 2007, 10 mila nati nel 1952 e 40mila donne che attendono l’opzione contributiva: tutti con diritto alla pensione in base alle precedenti leggi. Un nuovo provvedimento di salvaguardia (il sesto), che comunque interessa solo le prime quattro categorie citate, è stato approvato dalla Camera all’inizio di luglio e attende di essere calendarizzato al Senato.
Per rispettare i loro diritti per salvaguardare i 170mila esodati si valuta un costo, non certo esorbitante, di circa 8 miliardi spalmati su 12 anni con una spesa che comunque si concentra nei prossimi quattro anni per un massimo di 800 milioni all’anno.
Non entro nei merito di come trovare queste risorse: affermo solo che in uno Stato civile non si discuterebbe il problema, ma si troverebbe la soluzione.
Claudio Ardizio
coordinatore nazionale Comitato esodati e precoci di Italia
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Gentile Ardizio, uno Stato civile deve sicuramente mantenere le promesse e deve rispettare la dignità delle persone soprattutto se si trovano in situazioni economicamente difficili senza averne responsabilità. C’è da augurarsi quindi che si possa arrivare ad un provvedimento legislativo che chiuda in maniera definitiva questo problema. Dopo di che, tuttavia, c’è altrettanto da augurarsi che la parola “esodati” esca dal vocabolario politico e sociale e si possa avviare una stagione in cui le politiche del lavoro, quelle assistenziali e quelle previdenziali siano ben distinte e definite. Quello che emerge dalla sua documentata lettera, caro Ardizio, è che negli ultimi decenni sono state approvate decine di leggi che hanno creato condizioni particolari per determinate categorie di lavoratori. Si dovrebbero ricostruire le basi invece per un sistema previdenziale il più possibile trasparente e che offra a tutti le stesse condizioni, capace di adeguarsi ai cambiamenti delle condizioni economiche e soprattutto demografiche con il significativo allungamento della speranza di vita che si sta verificando. Ma insieme si tratterebbe di attuare politiche attive del lavoro capaci di creare le condizioni perché anche “a una certa età” si possa continuare a lavorare con formule e modi diversi superando le attuali rigidità dei contratti. I segnali che vengono dalla politica non vanno tuttavia in questa direzione: lo dimostra la riduzione dei fondi per la formazione professionale per finanziare la cassa integrazione in deroga, che rischia peraltro di diventare una nuova pensione anticipata.