Una società moderna, ricca, con un benessere diffuso, ma in cui non ci sia più il denaro. Probabilmente un’utopia, dato che il denaro è stato e resta fondamentale nella crescita della produzione e del commercio mondiale, ma senza dimenticare due linee di tendenza che con motivazioni profondamente diverse vanno comunque in questa direzione. Da una parte ci sono i progressi della tecnologia. La dematerializzazione dei soldi ha ormai fatto passi da gigante e tutte le transazioni di una certa entità sono ormai compiute senza il passaggio fisico di monete e banconote; in pratica il denaro è ormai ridotto agli spiccioli con indubbi vantaggi per la sicurezza e la legalità. Più complesso e sicuramente ambiziosa è la prospettiva di una società senza soldi perché organizzata secondo il principio che Karl Marx (“Da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni”) ha mutuato dalla tradizione cristiana come descritto negli Atti degli apostoli e rilanciato, con la proposta del dono e della gratuità come elementi delle relazioni economiche, anche nell’ultima enciclica Caritas in veritate.
Ma è possibile pensare ad una prospettiva in cui si possa ritornare a una visione del denaro semplicemente come strumento e non come valore proprio? Affrontando l’elemento di fondo che è stato alla base della crisi economica degli ultimi anni: l’illusione di una finanza progressivamente separata dall’economia reale e in grado di creare i soldi con i soldi.
E’ il cammino che Pierangelo Dacrema, (nella foto) ordinario di economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, propone con “Il miracolo dei soldi” in cui, oltre ad offrire una prospettiva storica della storia del denaro dalle conchiglie alle carte di credito, indica una strada: la sopravvivenza del denaro, ma solo come “mezzo capace di premiare il merito e remunerare in modo ragionevole qualità e quantità del lavoro. Una prospettiva che appare altrettanto temeraria quanto necessaria. Anche per dare nuove possibilità di crescita ad un sistema economico in cui i capitali hanno progressivamente conquistato la titolarità della produzione della ricchezza tanto che il “capitalismo” è diventato l’imperfetto sinonimo dell’economia di mercato.
Non sarà facile: la teoria quantitativa della moneta è stata definita per la prima volta da David Hume a metà del Settecento e già Thomas Mun all’inizio del Seicento aveva analizzato gli effetti sulle monete degli squilibri delle bilance commerciali. Tre secoli di pensiero economico hanno così avuto al centro le opportunità e gli effetti delle politiche monetarie e negli ultimi decenni la stessa politica economica si è ridotta a più o meno fortunata politica monetaria.
Il vero problema allora è quello di non lasciare al denaro tutti i compiti di costruzione sociale. Perché del denaro si potrà fare a meno, ma non della fiducia. “La fiducia, scrive Dacrema, continuerà ad essere data, ottenuta, scambiata, conquistata perché quello della fiducia è un problema di tutta la vita”. La fiducia nelle persone. E non nel loro denaro.
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Pierangelo Dacrema, “Il miracolo dei soldi”, Ed. Etas, pag. 210, € 17
Pubblicato sul Sole 24 Ore del 4 marzo