Dopo la bocciatura nel giugno dell’anno scorso l’Irlanda tornerà a votare il 2 ottobre sul Trattato europeo di Lisbona. Il Governo di Dublino, dopo aver ottenuto garanzie sul rispetto della sovranità nazionale in campo fiscale, sulla neutralità militare e sul mantenimento di un rappresentante nella Commissione, ha infatti accettato di fare un nuovo tentativo per evitare il blocco del processo di integrazione.
La possibilità di ribaltare l’esito negativo (con il 53,4% dei voti contrari) del 2008 appaiono legate a un filo anche se sulle scelte degli elettori potrà pesare una recessione economica che ha colpito duramente il paese con una disoccupazione oltre quota 12%, il livello più alto da quattordici anni.
Il caso irlandese, comunque, così come le precedenti bocciature di Francia e Olanda dell’ipotesi di Costituzione, costituisce la dimostrazione più palese di come il cammino europeo si trovi ormai al centro di una profonda contraddizione. Da una parte ci sono i reali e indiscutibili successi di aver realizzato una moneta unica e un’area di stabilità valutaria, di aver compiuto una vera integrazione dei mercati, di aver avviato una concreta ricostruzione dei rapporti tra Ovest ed Est, così come tra Nord e Sud. Dall’altra c’è una crescente resistenza al processo di integrazione, ad una ulteriore riduzione delle sovranità nazionali, ad un ampliamento di quella che viene vista come una galoppante aggiunta burocratica di regole, procedure e adempimenti.
Quale ricetta per affrontare questa crisi? La significativa proposta di Paolo Garonna è altrettanto esplicita quanto costruttivamente temeraria: tornare ai valori che sono alla base dell’Europa, non solo quelli del dopoguerra, ma i valori che si possono considerare “originari”, quelli elaborati tra il 1780 e il 1820 dal gruppo di banchieri, intellettuali, politici (da Necker a Madame de Stael, da Constant, a Sismondi) che si ritrovava a Coppet, un piccolo paesino alle porte di Ginevra. Di fronte ai rischi dei totalitarismi, dei nazionalismi esasperati, delle rivoluzioni finalizzate alla conquista del potere, rischi particolarmente forti all’avvio dell’epoca napoleonica, ecco allora che si inizia a costruire un’idea di Europa, scrive Garonna, “del liberalismo solidale e dell’economia sociale di mercato, che può disegnare un nuovo modello di società, basato sulla qualità della vita, sul buon gusto e l’attenzione all’ambiente degli europei, sulla valorizzazione delle differenze, del territorio e delle reti di piccola impresa”. Un modello che nasce del rispetto della libertà e che è fondato “sul merito e sulla lotta ai privilegi” e che vede “la società e il settore privato al posto di guida, ma assegna un ruolo attivo alle politiche pubbliche”. Un modello che trova nella famiglia un ruolo fondamentale per la crescita e la coesione sociale.
Su queste basi si fondò la Costituzione svizzera del 1848 e su questi stessi valori prese forza nel dopoguerra il movimento federalista europeo. Con un senso profondo della modernità per combattere il frutto più pericoloso del totalitarismo e del dispotismo: quella che Madame de Stael chiamava “una disumana incapacità di amare”.
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Paolo Garonna, “L’Europa di Coppet”, Ed. Franco Angeli, pag. 448, € 39
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Questo articolo è stato pubblicato dal Sole 24 Ore il 3 settembre