È la sfida delle opportunità quella a cui i Paesi occidentali stanno cercando un po’ confusamente di rispondere di fronte alle ripercussioni sull’economia reale della crisi finanziaria. L’opportunità di riavviare l’economia secondo basi più solide, con un corretto rapporto tra pubblico e privato, con regole più severe elaborate e fatte rispettare a livello globale, con una più corretta applicazione dell’etica della responsabilità nei comportamenti individuali e collettivi.
Anche per l’Italia la strada è in salita, ma può offrire spunti interessanti e costruttivi per ripensare in termini finalmente meno ideologici e maggiormente pragmatici il rapporto tra Stato e mercato. Non alla ricerca di una mitica "terza via" che negli anni è ormai diventata un’araba fenice, ma considerando lo Stato come parte attiva a cui dovrebbe spettare non solo definire le regole e intervenire dove devono essere difesi gli interessi condivisi, ma anche diventare uno strumento di espressione collettiva (e quindi democratica) dei cittadini.
(nella foto: Flavio Felice)
In questa prospettiva ci sarebbero le condizioni per tornare a parlare con estrema concretezza di "economia sociale di mercato". Un tema rilanciato da Mario Monti, nell’intervista a Carlo Bastasin pubblicata sul Sole 24 Ore del 22 agosto, un tema ripreso e approfondito nel libro di Flavio Felice, docente alla Lateranense e alla Luiss e presidente del Centro Tocqueville-Acton.
«Quando – afferma Monti – promuovevo in Italia l’economia sociale di mercato negli anni 80 mi chiedevo perché Ludwig Erhard avesse avuto successo in Germania con gli stessi principi che invece Luigi Einaudi non era riuscito a far prevalere in Italia».
Eppure proprio l’Italia avrebbe avuto bisogno come l’ossigeno, negli anni 80 così come ora, di recuperare alcuni valori fondamentali che erano alla base dello stesso processo d’integrazione europea: la stabilità monetaria, una Banca centrale indipendente, la disciplina di bilancio, un mercato aperto e concorrenziale. Aspetti, osserva Monti, antitetici al pensiero e alla prassi dell’Italia di allora. E, possiamo aggiungere, che ancora oggi per molti aspetti suscitano incomprensioni, quando non ostilità.
L’Italia, sottolinea Flavio Felice, avrebbe bisogno di recuperare un ruolo attivo dello Stato nell’ottica indicata da due grandi economisti come Luigi Einaudi e Luigi Sturzo: «L’esigenza di distinguere lo Stato come arbitro, il mercato come campo da gioco e gli operatori come parte del gioco». Ecco allora la necessità di riportare in primo piano l’evoluzione del pensiero liberale, la forte presenza del valore della persona propria della tradizione cattolica (insieme all’equità e alla solidarietà), la concezione del mercato e dei capitali come strumento e non come fine: tutti elementi che delineano un modello sociale che si sviluppa sui due principi essenziali del liberalismo, la libertà e la responsabilità.
Per l’economia sociale di mercato la strada resta comunque complessa: lo dimostra anche il dibattito aperto sulle prospettive della crisi finanziaria, dove sembrano prevalere antiche tentazioni dirigistiche e malcelati impulsi di considerare la spesa pubblica come un troppo facile salvagente.
Pubblicato sul Sole 24 Ore del 18 dicembre