Un buono scuola per una buona scuola

Nella rubrica delle lettere sul Sole 24 Ore dell’8 settembre.
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Il lettore Felice Rossini ha scritto: Riaprono le scuole e si parla come ogni anno di carenze finanziarie, di edifici da ristrutturare, di precari da regolarizzare. Nella discussione alcuni mesi dell’ennesima riforma della scuola si era proposto di ridurre i finanziamenti alle scuole private per migliorare il settore pubblico. Mi sembra che non si sia fatto nulla anche se la Costituzione vieta il finanziamento statale dell’istruzione e anche se mi sembra del tutto normale che chi vuole scegliere una scuola privata la debba pagare. E così l’istruzione in Italia continua ad essere a livelli molto più bassi rispetto a quelli degli altri paesi.
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Ed ecco la mia risposta:
Gentile Rossini, mi sembra più che giusto guardare con attenzione ai problemi dell’istruzione come elementi fondamentali per la crescita civile oltre che economica del Paese. E altrettanto giusto è rilevare come sia necessario far compiere un salto di qualità alla scuola.

Mi permetta tuttavia di essere fondamentalmente in disaccordo sugli altri elementi della sua analisi. Innanzitutto ritengo che un paese che voglia essere veramente democratico, oltre che liberale, debba rispettare le idee e quindi la libertà di ciascuno, quindi anche la libertà di educazione, che è una delle libertà fondamentali della persona e della famiglia. Mi sembra evidente che non sia una vera libertà quella che va pagata, creando così una discriminazione all’interno della società: la libertà dovrebbe essere di tutti, non solo di chi può permettersela perché è più ricco
Detto questo non appare corretto affermare che la Costituzione vieti il finanziamento statale alle scuole private. L’art. 33 stabilisce il diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione “senza oneri per lo Stato”: come ha sostenuto nella discussione alla Costituente l’on. Epicarmo Corbino: “Noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati: diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato”. Se lo Stato riconosce una funzione pubblica alla scuola privata non vi è quindi alcun ostacolo costituzionale alla concessione di finanziamenti.
La presenza poi di una sana concorrenza tra scuole pubbliche e private non può che far bene alla qualità dell’istruzione senza dimenticare gli oneri aggiuntivi che lo Stato avrebbe se gli alunni delle scuole private dovessero scegliere l’istruzione pubblica.
Molto significativo è l’esempio della Gran Bretagna dove negli ultimi anni di fronte alla scarsa qualità del sistema pubblico di istruzione il Governo di David Cameron ha varato una sorta di “buono scuola”: lo Stato garantisce alle scuole libere da 3 a 4mila sterline (da 4.500 a 6000 euro) per alunno delle primarie e da 7 a 8mila sterline (da 9.500 a 10.900 euro) per le secondarie, una somma quasi uguale a quella versata alle scuole pubbliche. Queste “free schools” hanno grande autonomia nella gestione e nei programmi, ma con il solo controllo statale sugli obiettivi e sui risultati. Per le scuole private inglesi,, fondate in gran parte da cooperative di insegnanti, l’obiettivo della qualità diviene fondamentale per attirare gli studenti e quindi garantirsi i finanziamenti statali. Senza barriere ideologiche o anacronistiche battaglie confessionali.

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Fino a qui quanto pubblicato sul Sole 24 Ore. Ho quasi immediatamente ricevuto qualche messaggio molto critico soprattutto su quel “senza oneri per lo Stato” che qualcuno continua scambiare per un dogma laico, come un divieto per lo Stato di finanziare le scuole private. Eppure dovrebbe essere chiaro che se i costituenti avessero voluto vietare i finanziamenti pubblici avrebbe potuto benissimo scrivere: “Lo Stato non può finanziare istituti educativi privati”. Invece non l’hanno scritto. E hanno approvato un articolo che stabilisce una libertà, quella di educazione, impedendo che questa libertà divenga la pretesa di un finanziamento. Ma questo, sottolineo, non esclude che, come in molti altri settori, come il trasporto, lo Stato non possa sostenere iniziative che hanno una finalità e un interesse pubblico.