Ma Keynes sarebbe keynesiano?

Caro Fabi, quando si parla di ricetta keynesiana per affrontare i problemi economici ci si riferisce principalmente all’utilizzo della spesa pubblica per cercare di superare un momento negativo del ciclo economico. Ma nelle tante opere di un grande economista come John Maynard Keynes non c’è proprio nessun’altra idea? Le politiche di spesa appaiono infatti difficilmente praticabili con gli attuali debiti pubblici, ben oltre il livello di guardia.
Sebastiano Maffei
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Gentile lettore, il grande apporto di Keynes alle politiche economiche va, fortunatamente, ben oltre la semplice sottolineatura dell’importanza della spesa pubblica. Vi sono innumerevoli temi su cui l’analisi dell’economista di Cambridge si è soffermata partendo da quello che è stato il libro, scritto alla fine della Prima guerra mondiale, “Le conseguenze economiche della pace” in cui, da inglese, criticava fortemente i debiti di guerra imposti alla Germania. Al di là tuttavia delle teorie economiche, che meriterebbero un ben più ampio approfondimento, ci sono alcuni elementi di metodo che meritano di essere messi in risalto, magari senza dimenticare la sua ispirazione fondamentalmente liberale e il fatto che le sue teorie non possono essere confuse con lo statalismo. Per esempio il suo richiamo alla necessità di una profonda umiltà dell’economista che non può basare le sue teorie su leggi rigide e immutabili e che per questo deve accettare di sottoporre le proprie idee ad un confronto e una discussione continua. Nella prefazione alla sua opera più completa, “La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” scrive infatti: “E’ incredibile a quante sciocchezze si possa temporaneamente credere se si pensa per troppo tempo da soli, specialmente in economia dove è spesso impossibile sottoporre le proprie idee ad una prova conclusiva, sia formale, sia sperimentale.” Un richiamo alla discussione e al confronto che si ritrova in tutto il libro e che compare con una severa affermazione nelle ultime righe: “Gli uomini della pratica i quali si credono affatto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso schiavi di qualche economista defunto.” Quasi un monito agli economisti di oggi a considerare le sue teorie, così come ogni altra teoria economica, come qualcosa che ha continuamente bisogno di passare al vaglio con la realtà. E la realtà è  fatta di persone le cui decisioni sono dovute a tanti fattori tra cui “il capriccio, il sentimento, il caso” perché non possono dipendere “da una rigorosa speranza matematica che non ha alcuna base per essere calcolata”. E forse si può dire, con un po’ di provocatorio azzardo, che Keynes oggi non sarebbe “keynesiano”, nel senso di come viene intesa tradizionalmente questa qualifica.

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Lettera pubblicata sul Sole 24 Ore del 6 novembre

  • mdpanurge |

    Dott.Fabi, guardi che chi Le scrive ha udito con le proprie orecchie dare del “giacobino” a Keynes, anzichè di ispirazione fondamentalmente liberale.
    E sa da parte di chi? Da parte di S.Romano (non il santo, bensì il noto opinionista..:O), in occasione della presentazione del Suo ultimo libro, qualche mese fa. Le parole esatte furono “Guardi che Keynes era un pò, o piuttosto (non ricordo bene), giacobino..”

  • carl |

    Discorrendo su Keynes che, piaccia o meno, è stato il più acuto economista del XX secolo, non si risolveranno i problemi in essere derivati sostanzialmente anche proprio dal fatto di non avere ascoltato Keynes..! i suoi compatrioti, nè gli altri alleati, non lo hanno ascoltato dopo la prima guerra mondiale. Certo, molti anni dopo non gli hanno negato il titolo di Lord (si noti, en passant, che quello di sir lo hanno dato pure ai Beatles..:o)!!)e gli USA gli hanno preferito i proprii progetti e programmi postbellici..
    Val la pena di discorrere..? No, purtroppo. Non ultimo anche perchè, di fatto, c’è un pensiero prevalente del quale neppure si sa con precisione chi “ringraziare”, salvo questa o quella “scuola (cioè un insieme..) di pensiero economico..
    Neppure la malaglobalizzazione ha dei genitori ben individuati, ma è quasi figlia di N.N…
    La finanza volatile ed iperluminale è giunta a poter fare il bello (per i suoi accoliti) ed il cattivo tempo (per tantissimi esseri umani,troppi).
    Amen.
    Ad un certo punto non rimane che aspettarsi di ripercorrere gli enormi errori e vicissitudini del secolo scorso.. Vale a dire “sorti ancor più magnifiche et progressive”..:o)
    Così, in fin dei conti, è sempre stato. Certo però che ora ci sono i mezzi che il “progresso” ha fatto materializzare..E che prima non c’erano.

  • Guido Iodice |

    Mi scusi, ma in questa risposta è riuscito a non dire nulla circa gli altri argomenti affrontati da Keynes in materia economica. Ad esempio riguardo il ruolo non neutrale della moneta, i limiti delle politiche monetarie, la redistribuzione del reddito per aumentare la propensione al consumo, il moltiplicatore degli investimenti, ecc. tutti argomenti che oggi sono nuovamente al centro del dibattito economico.
    Riguardo l’idea che “Keynes oggi non sarebbe “keynesiano”, nel senso di come viene intesa tradizionalmente questa qualifica” la cosa è vera ma al contrario di quel che fa intendere lei, se si considera che oggi sono etichettati come keynesiani economisti che in realtà sono “neoclassici della sintesi”. Keynes, per dire, aveva teorie molto, molto più radicali di Krugman.
    Saluti.

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