La burocrazia blocca le dismissioni

 Interessante la sintesi della relazione alla commissione bilancio della Camera del direttore generale Finanza e Privatizzazione, riportata dal Sole 24 Ore del 27 luglio a pag.13. Apparentemente gli immobili pubblici valgono fra i 240 e 320 miliardi di Euro ma il 70% è riservato a attività istituzionali e non è cedibile. E perché mai? L’Italia ha un disperato bisogno di abbattere il debito pubblico e questa esigenza viene prima di tutte le altre. Perché mai un Comune dovrebbe possedere i muri del suo municipio; che si affitti i locali che costano di meno! Perché mai le società comunali che fanno servizi non sono cedibili? In altri paesi sono attività che sono gestite da privati e assegnate in aste pubbliche; anche il back office del Montepaschi verrà esternalizzato fra poco. Capisco che non si possano cedere le spiagge, ma anche il Colosseo è cedibile, intanto sta sempre lì e nessuno può trasformarlo in un residence o un circo moderno.
 
Il valore di un bene dipende dalla domanda e offerta, e in parte anche dal reddito netto che può produrre. Il settore pubblico dovrebbe adoperarsi per aumentare il valore del proprio patrimonio immobiliare  e delle società pubbliche creando dei meccanismi attraverso i quali i futuri proprietari potranno guadagnare di più e aumentando il numero dei potenziali compratori; per esempio automatismi nelle trasformazioni immobiliari, contratti a prezzi fissi bloccati per anni, esenzioni fiscali ecc. Non è difficile, ma è inevitabile che tutti i beneficiari delle rendite parassite si oppongono. Rispetto però al danno che fa a tutta la collettività il mantenere un debito pubblico enorme, questa volta è indispensabile superare le resistenze.
 Gianfilippo Cuneo
Milano
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Caro Cuneo, è vero, tecnicamente ci sarebbe la possibilità (e sicuramente anche il dovere) di ridurre anche in maniera significativa e in tempi rapidi il debito pubblico. Ma l'Italia è il Paese degli interessi particolari e dei privilegi diffusi. Per questo la logica dei veti, delle opposizioni, dell'immobilismo sembra avere sempre la prevalenza sulla necessità di affrontare  con risposte nuove i problemi  che si sono accumulati nel tempo. Incidere sui vecchi schemi e sugli inveterati pregiudizi appare un atto di lesa maestà. E per di più siamo di fronte ad una pubblica amministrazione sostanzialmente inefficiente. Solo per fare un esempio nel centro di Varese c'è una vecchia caserma abbandonata da almeno vent'anni: nè la Difesa, nè il Demanio, nè il Comune sono riusciti a valorizzare un'area urbanisticamente di grande pregio. Sarebbe ormai indispensabile non solo ridurre il debito, ma anche attuare un cambio di marcia nella politica della spesa pubblica per evitare che le nuove possibili entrate offrano l'alibi per nuove ingiustificabili uscite.  Ma di fronte a questi problemi il quadro politico è disarmante: si parla d'altro e anche sui temi più significativi e sensibili, come la legge elettorale, la riduzione del numero dei parlamentari, il taglio dei costi della politica, non è difficile la previsione che si arriverà a poco. O nulla. Sempre per colpa degli altri, naturalmente.

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Lettera (e risposta) pubblicata sul Sole 24 Ore il 31 luglio