Il mercato non è un’ideologia

Dove arriva la cultura economica e dove comincia l’ideologia? Una domanda che appare importante nel momento in cui si discutono le strategie opportune e necessarie per consolidare l’uscita dalla crisi e, soprattutto per l’Italia, rendere più forte e significativa una crescita che è ancora fragile e stentata.

La cultura economica ha molto da insegnare, ma con il rischio costante di sfociare in prese di posizione ideologiche dove ha il sopravvento il peso di giudizi sintetici e di formulazioni sommarie. Un caso tipico, per esempio, è quello del “fallimento del mercato”, una spiegazione drastica per i fenomeni complessi che abbiamo vissuto negli ultimi anni e  in cui nella maggior parte dei casi è stato proprio il corretto funzionamento dei meccanismi di mercato a provocare il riequilibrio delle forze in campo. La crisi del 2009 è avvenuta proprio perché il mercato ha funzionato e a un certo punto ha drasticamente respinto gli strumenti finanziari costruiti sulla sabbia: con adeguate regole lo Stato avrebbe potuto almeno limitare gli eccessi della finanza e avrebbe potuto ridurre gli interventi successivi per contenere le ripercussioni sociali della crisi.

Quella che normalmente viene definita come una dialettica tra Stato e mercato è quindi, al fondo, la ricerca di un equilibrio tra le esigenze prioritarie di libertà dell’individuo e la necessità, più o meno ampia, di una regolazione da una parte e di una redistribuzione dall’altra. E’ un’analisi che percorre tutta la storia della teoria economica come dimostra l’antologia “Tra Stato e mercato” curata da Franesco Pulitini (Ibl libri, pagg. 620, € 25). Un’antologia in cui senza dimenticare i due tradizionali punti forti del “liberista” Adam Smith e dello “statalista” John M. Keynes, si ripercorre il cammino essenzialmente culturale dei grandi protagonisti del pensiero economico degli ultimi trecento anni. Non a caso infatti il libro inizia con un brano di John Locke del 1690 in cui si afferma il carattere naturale e irrinunciabile della libertà personale e termina con un brano di Franco Romani del 1994 in cui si ricorda il principio di sussidiarietà come alternativa alla crescita dell’invadenza, ma soprattutto dell’inefficienza dello Stato nel garantire le promesse del welfare state.

Con un filo conduttore che è proprio della tradizione liberale. Non esiste un metodo sicuro, non esiste una ricetta facile e condivisa. Esiste un processo che più che applicare modelli o seguire ideologie può avere come stella polare la fiducia nelle capacità delle persone di compiere scelte che rispondano alle esigenze insieme dei singoli e della società. Nemmeno quella che potremmo chiamare “scuola liberale” non ha risposte univoche ed anzi spesso ha visto su fronti contrapposti i propri esponenti. Iniziando proprio dal tema in cui l’economia si aggancia alla filosofia. “Il nostro problema – scriveva Hayek – e se si debba considerare la civiltà come il prodotto della ragione umana o se non sia vero il contrario e che cioè si debba considerare la ragione umana come il prodotto della civiltà che non è stata deliberatamente fatta dall’uomo, ma che, piuttosto, si determina in un incessante processo evolutivo”. La differenza non è senza rilievo perché nella prima ipotesi si può giustificare un forte ruolo dello Stato, nella seconda in una logica darwiniana si deve garantire la libertà degli individui e delle imprese perché solo nel confronto, e quindi nella concorrenza, può esserci un premio all’efficienza, ma anche una spontanea ricerca della solidarietà.   .-.-.-.

Pubblicato sul Sole 24 Ore del 5 maggio 2011

  

 

  • alfio neri |

    LAVORO: BACCINI, BENE CAMUSSO, PRECARI SIANO PAGATI DI PIU’
    (ANSA) – ROMA, 20 DIC – “Condivido il pensiero delLa
    segretaria della CGIL, Susanna Camusso, quando sostiene che i
    lavoratori precari debbano, in termini di retribuzione oraria
    del lavoro, percepire di più rispetto ai lavoratori con
    contratto a tempo indeterminato”: lo afferma Mario Baccini,
    presidente dei cristiano popolari del PdL.
    “Dato il sostanziale azzeramento della crescita del PIL il
    lavoro precario diventa necessario per la dinamicità del mercato
    del lavoro per la formazione e il ricambio generazionale dei
    lavoratori. Non condividendo in toto la realtà del precariato,
    che non garantisce quella stabilità necessaria ai giovani, alle
    coppie e alle famiglie per progettare un futuro, ma analizzando
    la realtà si avvisa la necessità che almeno questa situazione
    possa essere bilanciata da un maggior compenso”.
    “Per il bene dell’Italia – conclude Baccini – ritengo oggi
    più che mai necessario aprire un confronto, non ideologico, con
    le parti sociali sui temi del lavoro e dello sviluppo
    economico”.
    (ANSA).

  • cooksappe |

    la fanciulla sarà stata arrestata anche per qualche altro motivo, immagino..

  • Anacleto Desiderio Carlo |

    Lo stato ed il capitalismo gentile sig. Fabi Gianfranco, sono e lo sono sempre stati, su due piani completamente diversi.
    E lo stato non è mai stato su un piano di controllo bensì sul piano della salavaguardia dei diritti umani che ogni individuo ha dal momento della nascita e che il sistema capitalistico deve per forza mettere da parte per realizzarsi adeguatamente.
    La dimostrazione è nella crescita industriale cinese od indiana o brasiliana tesa al profitto più bieco (la mancanza totale di qualità dei manufatti prodotti in quei paesi e venduti a prezzi esorbitanti all ‘individuo occidentale rapportati al loro affettivo valore matariale), all’ abbassamento vertiginoso degli emolumenti ai nostri lavoratori con grande nocumento al loro tenore di vita, istruzione, salute e sicurezza.
    Lei porta come tesi del capitalismo, Darwin.
    Come se lo sfruttamento e l’ ingiustizia fosse consustanziale all’ animale umano.
    É proprio il contrario.
    L’ animale uomo ha sempre dovuto fin dalle origine, aggregarsi per sopravvivere e dividere con tutti il frutto delle fatiche dei pochi.
    Poi sono venuti la religione e l’ ignoranza che hanno generato l’ ingiustizia e le disuguaglianze.
    Io penso che lo Stato debba ottemperare al suo compito così come il capitalismo.
    E ci dovrà sempre essere una guerra tra i due.
    Non è detto che ci debba essere per forza un vincitore.
    Anzi a mio avviso non ci deve essere perchè lo Stato deve saper sfruttare adeguatamente la competizione capitalistica e trarne il massimo profitto.
    Negli ultimi decenni lo Stato italiano governato da forze politiche corrotte si è a poco a poco svuotato di autorevolezza e di forza ed i cittadini italiani rischiano di diventare dei servi.
    Pensi solo a quei 150 miliardi di euro di tasse evase ogni anno che i suoi datori di lavoro non pagano.
    È questo il tema ideologico.
    Perchè il capitalismo nostrano non vuole pagare le tasse per principio perchè vuole cancellare lo stato italiano.
    Un esempio di questo scempio è l’ arresto di quella fanciulla che ha gridato alla Moratti ‘ fai ridere’, da parte della polizia di Stato.
    Quato sig. Papi è fascismo, dittatura scempio delle regole democratiche che un gruppo di valorosi aveva conquistato 65 anni fa.
    La saluto
    Anacleto Desiderio Carlo (proletario)

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