Liberi è meglio

Boaz E’ forse nel destino dell’Italia quello di essere stata ed essere una delle più fiorenti fucine del pensiero liberale, ma nello stesso tempo di non aver saputo mettere a frutto che in parte i principi della concorrenza e del libero mercato. Un Paese in cui fino a qualche anno fa molte grandi imprese, tutte le maggiori banche e i fornitori di servizi erano controllati direttamente dallo Stato ed in cui poi le privatizzazioni, che pur ci sono state, non sono andate di pari passo con le necessarie liberalizzazioni. Discutere di libertà, non tanto come ideologia, quanto come prassi economica e sociale appare quanto mai opportuno ricordando il pensiero di uno dei grandi maestri liberali, come Luigi Einaudi, che ricordava che “l

e libertà civili sono inscindibili dalle libertà economiche perché ciascuna libertà può emergere solo in presenza delle altre libertà.” In questa prospettiva appare giustamente “profetico”, come annota l’editore, il libro (“Libertarismo”) scritto negli anni ’90 da David Boaz, vice-presidente esecutivo del Cato Institute, uno dei maggiori think tank americani di ispirazione pro-mercato. Profetico perché resta molto forte la tentazione di affrontare la crisi economica con le stesse medicine che l’hanno prodotta, cioè portando alle estreme conseguenze la convinzione di irresponsabilità, il pensare che comunque, prima o poi, lo stato avrebbe pagato per tutti e risolto i problemi. “Il libertarismo – scrive Boaz – è la filosofia fondamentale del mondo moderno: libertà, uguaglianza, impresa, principio di legalità, governo costituzionale”. Tutti elementi egualmente importanti perché la concorrenza non sia la battaglia tra i furbi e gli ingenui, perché lo Stato non pretenda di indicare i fini, ma garantisca uno scenario di certezze, perché l’attività economica possa raggiungere il massimo di efficienza.

 Il liberalismo di Boaz non è individualismo o esaltazione dell’anarchia, ma ricorda per molti aspetti quell’analisi della società americana scritta a metà dell’Ottocento da Alexis de Tocqueville. Un modello di libertà che non si sviluppò grazie a regole e procedure calate dall’alto, ma che è stato garantito dalla presenza di un popolo che ha avuto fiducia nei propri valori e che è rimasto profondamente cosciente delle responsabilità che gli competono. Dunque i cittadini sono innanzitutto persone capaci di superare i rischi dell'individualismo democratico attraverso quella che chiama la “partecipazione associativa”, cioè la presenza capillare di numerosissime associazioni civili e politiche con una grande vitalità e una forte capacità di affrontare temi di fondo come l’educazione, la sanità, l’assistenza. Associazioni essenziali per superare il rischio di una divisione delle persone all'interno della democrazia e per difendere ciascuno e l’intera società dalla centralizzazione del potere. Un modello di società aperto in cui le regole sono soprattutto la common law, quell’insieme di norme che viene accettato con grande naturalezza da tutti i cittadini e in cui la responsabilità diviene accoglienza e soluzione dei bisogni collettivi.

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David Boaz,.“il libertarismo” ed. Liberilibri, pagg. 450, € 20

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Pubblicato sul Sole 24 Ore il 15 luglio